Leggendo le cronache estive si vedono citati di volta in volta un po’ tutti i luoghi delle vacanze sarde. Quelle dei vip fatte di barche esclusive ed altrettante uniche spiagge (sempre le stesse), quelle nazional-popolari con i vari Poetto o Platamona e i “centomila assedianti”, chiasso, sporcizia, fogne che scoppiano, abusi edilizi d’ogni genere fanno da titoli sui giornali, sembra quasi una ricerca allo stare male per parlarne peggio.
Però ci sono luoghi, che sì racchiudono qualche vizio, ma che vivono quasi protetti nell’ombra dell’irraggiungibile come belle principesse senza che nessuno (o pochi) riesca a goderne, per poi magari a fine estate, sul racconto di un amico, chiederci: perché non ci ho pensato?
Quante volte percorrendo la scomoda ma bellissima ss. 125 (Oggi più agevole Nuova SS 125), arrivati intorno al km 79 abbiamo sollevato lo sguardo incantati da quella rocca svettante, che al tramonto si tinge di un rosso intenso che sembra rame lucente, con in cima quello che rimane di un antico maniero, “Il Castello della Regina” come viene chiamato dai locali, noto ai più come “Castello di Quirra”.
Ai suoi piedi nel versante occidentale, proprio ai margini della strada, la piccola chiesetta di “San Nicola” ci offre nella sua originalità < costruita dai pisani nel XII secolo, con l’apporto di maestranze locali, è l’unica chiesa romanica costruita interamente in mattoni di cotto> un occasione ulteriore per approfondire la conoscenza di questa area così desolata e selvaggia.
Quirra o Chirra come attestano le fonti sin dall’antichità è stata una terra di confine una sorta di spartiacque naturale tra l’Ogliastra e il Sarrabus.
Il “Flumen Dosa” (l'antico Saeprus) e i contrafforti calcarei dell’Ogliastra per secoli hanno protetto quasi nascosto questa zona compresa tra San Vito, Perdasdefogu e soprattutto Villaputzu, i comuni dell’area, gli unici centri abitati nei circa 80 Kmq appartenenti al “Saltus” di Quirra.
Attraversata dalla strada romana che collegava Portu Tibulas a Caralis, a grandi linee l’odierna ss 125, conta numerose testimonianze archeologiche che ci raccontano della presenza dell’uomo sin dal neolitico.
Le numerose domus de janas, tombe di giganti e monumenti nuragici come il Pozzo Sacro “Is Pirois”, sono il segno che tutta l’area prima della decadenza, dovuta anche alle incursioni barbaresche, fosse intensamente frequentata, inoltre in quella “Sarcapos”, città punica, da cui forse il nome Sarrabus, che doveva sorgere nei pressi dell’attuale quartiere S. Maria a Villaputzu, i ritrovamenti, vasellame e soprattutto monete di bronzo, ne testimoniano sicuramente un intensa attività commerciale.
Non a caso fu oggetto di disputa e controllo in epoca giudicale, area reputata tanto strategica che su un acrocoro naturale, il M. Cudias, venne edificato il castello di cui restano pochi ma suggestivi ruderi e che fu teatro di avvenimenti che ormai paiono solo leggenda.
A differenza di altre zone dalla bellezza sfacciata questa terra poco raccontata e molto contesa ha bisogno di essere compresa, contemplata, esplorata.
Nota negl’ultimi decenni soprattutto per la presenza di un Poligono Militare che ne ha fatto, con tutti i vincoli annessi, terreno privilegiato per le esercitazioni, limitandone la conoscenza e lo sviluppo turistico.
Se la parte più evidente è quella che si può ammirare percorrendo la ss 125 sicuramente al visitatore meno distratto e più curioso suggerisco delle escursioni più interne sia verso il mare che verso quelle colline, così aspre e fitte che chiamarle montagne non è sbagliato.
Percorse da mille rivoli e torrenti spiccano su tutti Baccu Locci, da cui prendono il nome le omonime miniere ormai abbandonate, e il Rio Quirra che, nascendo dai monti di Gairo col nome di Rio Pardu, arriva serpeggiando attraverso una fitta teoria verde che trova nel bellissimo sistema dunale della spiaggia di Murtas l’ultimo baluardo naturale prima di gettarsi in mare.
Mentre, se decidessimo di salire un po’, sicuramente il territorio di Perdas ci riserverà non poche sorprese.
Se sono scomparse quelle rigogliose foreste, decantate anche dai viaggiatori dell’ottocento, anche se non scalpitano più i mufloni in fuga o i cervi, abbattuti per secoli senza risparmio e se solo raramente qualche maestosa aquila fa la sua comparsa, ancor oggi il territorio offre degli angoli di selvaggia e rara bellezza.
Un area, quella di Perdas dalla morfologia tormentata, ricca di suggestive e profonde gole, alterna distese di macchia a lande desolate dove l’azione dell’uomo lascia purtroppo sconcertati!
Oggi in vaste aree dove, come scriveva il geografo piemontese Lamarmora, i segnali trigonometrici da lui piantati non erano visibili <per la folta alberatura> sono ridotte a spettrali lande desolate che se vogliamo hanno creato un fascino nuovo.
Ormai tracce di quelle antiche foreste le ritroviamo solo lungo le tante impervie e affascinanti gole che solcano il territorio e soprattutto nella zona di “Monte Cardiga” caratteristico tavolato calcareo dalla forma trapezoidale.
Nella zona si possono compiere delle escursioni di rilievo sia per la presenza di numerose grotte, su tutte spicca “S’Angurtidorgiu Mannu”, sia per la presenza di alcune se non, forse, le più belle cascate della Sardegna: le cascate di “Luesu/S’Abba Frida”.
Ma è il paesaggio in genere che colpisce e rapisce.
I forti contrasti tra le affollate spiagge di Muravera e Villaputzu, che d’estate catalizzano la maggior parte dei vacanzieri, e le solitarie spiagge e scogliere selvagge a ridosso della “Torre di Murtas” ne fanno un ultimo eden.
Quella torre, ancora splendida e quasi fiera, a guardia da secoli di queste terre sempre ambite e mai avute … a guardia di quei silenzi spezzati solo dal frusciar del vento su quella macchia odorosa che spande i suoi profumi frastornando e inebriando il visitatore o a guardia dell’ipnotico canto delle cicale, colonna sonora di tanti oziosi pomeriggi estivi.
E poi… lui il protagonista principale: il Mare; e sì un mare con la emme maiuscola cinto da una spiaggia infinita, un mare che è una miscela, una tavolozza di colori che stordisce i sensi con quel blu cobalto che si sposa e fluttua con il turchese più acceso e magari poco a lato ribolle smeraldo accarezzando schiumante i rossi graniti che si piegano tra mille forme sino a giungere e scomparire sotto questo autentico regno.
A poca distanza dalla riva un isolotto magari visto dalla cima del castello, dove i paesaggi son quadri e poesia insieme, sembra il centro, l’ombelico di quello che fu “regno” e tale rimane per chi lo sa scoprire …per chi lo sa amare.
Ma Quirra non si racconta, non si spiega… Quirra si vive.
Pertanto la prossima volta che passate da queste parti mettete freccia non ve ne pentirete.
Mariano Balbina