I Cartaginesi in Sardegna
509 a.C. - 238 a.C.

I CARTAGINESI

Cartagine: prima vera dominazione della Sardegna.
I Fenici, forse assediati nelle loro città sarde dai nuragici, chiesero aiuto ai Cartaginesi, che in breve tempo inviarono nell’isola un esercito.
Correva il 560 a.C. ed i sardi con la loro tattica di guerriglia riuscirono a respingere i punici comandati da Malco (= Re).
La città di Cartagine era stata fondata dai fenici nel 814 a.C., non lontano dalla odierna Tunisi, ed in breve tempo diventò una potenza egemone nel Mediterraneo.
Dopo il primo tentativo infruttuoso di conquistare l’isola, i Punici riuscirono ad impadronirsene nel 535, sebbene parzialmente e vi rimasero circa 270 anni.
Al contrario dei fenici, questi cercarono di assoggettare tutto il territorio, trovando come baluardo insormontabile le montagne e le bande nuragiche.
Vista l’impossibilità di conquistare il centro dell’isola, impervio e tutto sommato improduttivo, i Cartaginesi si attestarono ai confini della futura “Barbagia" creando avamposti nella linea Laconi-Isili- Goni-Sedilo-Neoneli-Zerfaliu-Orotelli-Lei-Borore-Bonorva-Monte Leone Rocca Doria.
Nelle zone sotto il loro controllo instaurarono un sistema amministrativo giudiziario in stretta dipendenza dalla madrepatria. Mentre i Fenici gestirono autonomamente le città sarde, definite città Stato, i Cartaginesi dominarono la Sardegna con funzionari inviati da Cartagine, l’isola diventò quindi una vera e propria colonia.
Fulcro del dominio punico rimasero le città già fenice: Caralis, Nora, Bithia, Sulci, Tharros, Othoca, Cornus, che vennero fortificate e punicizzate, con l’imposizione di una cultura estranea e per questo male assimilata, almeno in un primo tempo. Le città erano amministrate da due Plenipotenziari chiamati Sufeti, che governavano in nome e per conto di Cartagine, politicamente, amministrativamente e militarmente.
L’economia dell’isola fu indirizzata coattivamente verso l’agricoltura e migliaia di ettari furono disboscati per lasciar posto alla coltura del grano e dei cereali. L’esercito cartaginese formato da mercenari si serviva anche di indigeni per ingrossare le proprie fila.
I sardi autoctoni, arroccati nelle montagne centrali, continuarono ad erigere nuraghi e tombe dei giganti e a seguire le credenze religiose degli avi ed indubbiamente la cultura nuragica si evolse in modo autonomo, racchiusa in valli inaccessibili e in siti montani inespugnabili; si potrebbe così teorizzare una “Sardegna libera”, con una nazione unita, almeno per combattere l’invasore.
In quel lontano periodo iniziò la dicotomia decisiva che differenziò il Campidano e la pianura ad economia agricola e le zone montagnose ad economia pastorale.
Nonostante la dominazione assoluta punica, si ebbero contatti commerciali con greci ed etruschi attirati dalle materie prime che le miniere offrivano; i rapporti furono senza dubbio frequenti, come i ritrovamenti di manufatti stanno pian piano dimostrando.
Oltre ai pochi scambi con i popoli anzi accennati, la Sardegna rimase saldamente legata alla potenza dominatrice, che tendeva a cancellare ogni tradizione passata. A quel periodo risalgono, forse, le più grandi distruzioni del patrimonio archeologico esistente, specialmente nel Campidano. Opere megalitiche, tombe dei giganti, nuraghi, vennero sistematicamente distrutti, per poter sfruttare le pietre che li componevano e costruire fortificazioni e altre opere militari.
In molti luoghi, i cartaginesi preferirono insediarsi per convenienza, su costruzioni esistenti, così alcuni siti sono stati salvati per puro caso e ci sono giunti con sovrapposizione al Neolitico/Nuragico preesistente. Con i cartaginesi iniziò anche un urbanesimo antesignano, crescendo le città a dismisura a scapito delle campagne dove regnava il lavoro coatto e, da dove, liberi cittadini scappavano per cercare gli agi urbani.
In due secoli e mezzo abbondanti, i punici riuscirono a cancellare una nazione, a distruggere una economia, sebbene primitiva, a spogliare l’isola del patrimonio boschivo e a oscurare lingua e tradizioni millenarie. (...)
I sardi dei territori in mano ai cartaginesi erano costretti a pagare esose tasse o a lavorare, forse in modo coatto, nelle miniere pubbliche od in terreni demaniali per produrre ricchezza da portare a Cartagine. Nei casi più fortunati il loro lavoro era dovuto ai proprietari terrieri, rigorosamente punici, in cambio di pochi soldi e di qualche libagione.
Fu così che nel 368 a.C. il?????i???A ?»?? popolo si ribellò, subendo dure repressioni e punizioni esemplari che fiaccarono ogni desiderio di protesta.
Nel 348 i cartaginesi controllavano la situazione così saldamente che intimarono ai romani di commerciare con la Sardegna solo in presenza di Araldi e Scribi punici. I sardi liberi, abbandonati, i fortilizi di Barumini, Orrobiu, Genna Maria, rivelatisi insufficienti a fermare gli eserciti mercenari punici, si trincerarono oltre le terre controllate dai cartaginesi costruendo fortificazioni rozze ma adatte allo scopo.
Una di queste fortificazioni è ancora visibile nell’altopiano di Campeda contrapposta ad una più rifinita costruzione di confine punica. (...)
Nel 240, i mercenari cartaginesi di stanza in Sardegna si ribellarono per ottenere emolumenti arretrati e imperversarono nel territorio compiendo ogni sorta di misfatto; la reazione della popolazione sardo-punica li costrinse, nel 238 a.C., a chiedere aiuto ai romani che con il console Tiberio Sempronio Gracco occuparono l’isola senza incontrare resistenza alcuna
Testi tratti da Sardinian.net