SALVATORE PILERI
Soprannominato “Catteddu”, nel romanzo del Costa ha un ruolo da comprimario, quasi inesistente; in realtà all’interno della faida ebbe un ruolo da protagonista assoluto.
Era nato intorno al 1825, nello stazzo di Lu Rotu, presso Trinità d’Agultu, da Giovanni Tommaso Pileri e Filippa Casu. Si sa che era di corporatura imponente e forte e che, giovanissimo, si sposò con tale Vittoria Stangoni di Badesi, che morì subito dopo, nel 1847, probabilmente durante un parto, lasciandolo vedovo e con una bambina piccolissima.
Di carattere orgoglioso, allegro e giocondo fino a quel momento, il Pileri cambiò improvvisamente modo di essere, diventando una vera spina nel fianco per tutti coloro che avevano a che fare con lui. Un giorno ebbe a scontrarsi con il suo confinante Pietro Vasa, anche egli di carattere poco malleabile, ma la cosa si limitò solo alle parole, senza passare a vie di fatto.
Tuttavia da quel momento il Pileri non perdeva occasione per creare problemi al suo poco mansueto vicino: cercava in tutti i modi lo scontro; per esempio, di notte apriva varchi nelle siepi che recintavano i terreni del Vasa e vi introduceva le sue greggi a pascolare. Il Vasa lo minacciò più volte, ma il Pileri rispondeva con un sogghigno per dimostrare di non aver paura.
Il Vasa, constatata la pericolosità e l’arroganza del Pileri, passò allora a vie di fatto e i due vennero alle mani. Dopo questo fatto però ci fu un periodo di tregua, in quanto il Pileri, rimasto vedovo, era intenzionato a sposare Giovanna Angela Vasa, sorella di Pietro, e pertanto ci teneva a non urtare la suscettibilità del futuro cognato.
Giovanna Angela Vasa, proprio da Salvatore Pileri, era stata sottratta alle bramosie erotiche di un frate questuante di passaggio nello stazzo di Lu Naragheddu. A tale proposito si racconta che il Pileri inseguì poi il frate, che si era dato alla fuga; dopo averlo raggiunto lo uccise con le sue mani strangolandolo, per poi buttarlo nel torrente dal dirupo di Pinna. Dopo questo avvenimento Giovanna Angela si innamorò perdutamente di quell’uomo, che aveva salvato il suo onore dalle grinfie del focoso girovago. La cosa mandò in bestia il Vasa e la povera ragazza fu invitata a lasciare la casa paterna; tutti i parenti le tolsero il saluto, come era consuetudine.
Si sposarono alla fine del 1848 e l’anno successivo nacque il loro primo figlio. Il Pileri allora mandò a dire al cognato che reclamava anche tutti i suoi diritti sulla vasta proprietà dei Vasa, e che, con le buone o con le cattive, sarebbe riuscito a farli valere. Il tutto accompagnato dai soliti apprezzamenti e benedizioni nei confronti della suocera, Caterina Bianco “Razzu”, che si era sempre rifiutata di riconoscerlo come genero, anzi gli aveva fatto assoluto divieto di presentarsi davanti all’uscio della sua casa.
Nella primavera del 1849, il Pileri, approfittando della momentanea assenza del Vasa, in un terreno recintato di Lu Naragheddu, adibito alla semina, dopo aver aperto un passaggio ci introdusse sette capre a pascolare. Il Vasa, appena ritornato, le uccise tutte a fucilate e le collocò come chiudenda nel varco aperto dal Pileri.
Il Pileri tuttavia non si rassegnò facilmente e, tramite il tradizionale tribunale dei “rasgiunanti”, e anche minacciando denunce, riuscì a farsi risarcire dal Vasa, per una cifra di molto superiore per il danno subito.
Quando poi Pietro Vasa chiese in sposa Mariangela Mamia, Salvatore Pileri e il fratello Giovanni tentarono in tutti i modi di ostacolare il progetto. Addirittura, si dice, avessero fracassato il tetto della casa di Antonio Mamia, ad Aggius, per addossare la colpa del misfatto al futuro genero.
Durante la riunione avvenuta nello stazzo di Li Colti, il 20 agosto 1850, nei giorni immediatamente seguenti l’uccisione del giovanissimo Michele Mamia, pare sia stato proprio il Pileri a suggerire il nome della suocera, come vittima predestinata, incaricandosi al contempo in prima persona dell’esecuzione del progetto, con sommo piacere.
Dopo il delitto, la moglie Giovanna Angela, lo difese strenuamente, ma i Vasa lo denunciarono come esecutore materiale dell’omicidio della suocera. Le forze dell’ordine andarono a prelevarlo nella sua abitazione di Lu Rotu; in un primo momento riuscì a sgattaiolare, e a rifugiarsi in direzione della Serra di San Giuseppe, dove però si era appostato un altro drappello di cavalleggeri di Sardegna e fu catturato nei pressi dello stazzo di Li Lizzi Longhi. Condannato all’ergastolo, scontò diciotto anni di carcere, per poi ritornare in libertà. La lunga carcerazione non aveva intaccato la sua vena burlesca anche se, fondamentalmente, in lui prevalevano gli aspetti più spigolosi del suo carattere. Si racconta che un giorno, a chi gli chiedeva come fosse possibile vivere, per così tanti anni, rinchiuso tra quattro mura, e mantenere allo stesso tempo il suo carattere immutato, pare abbia risposto che in prigione, in fondo, non era così male e poi, nel suo caso, diciotto anni non erano poi molti, in pratica gli avevano dato un anno per ogni uomo che aveva ucciso...
MARIANGELA MAMIA
Figlia secondogenita di Antonio Mamia e di Minnena Satta, era nata a Vignola nel 1833.
Era sicuramente una donna dotata di grandi virtù morali se riuscì a sopportare degnamente tutti i lutti familiari causati dalla inimicizia con i Vasa.
Enrico Costa, che la conobbe ormai cinquantenne, ne esaltò anche la bellezza giovanile. Da lei apprese molti particolari della tragica vicenda, avvenuta una ventina d’anni prima.
Mariangela Mamia, dopo le paci di Tempio che, suggellarono la fine della faida, l’11 settembre di quello stesso anno 1856, si sposò con Giovanni Battista Spezzigu Coxiganu di Li Reni (Viddalba) ma residente ad Aggius. Ebbe la sventura di veder morire, in tenera età, i primi due figli avuti dal suo matrimonio: Martino (1863) e Anton Pietro (1864). Il terzo figlio, sempre di nome Anton Pietro, nato nel 1866, fu una persona molto conosciuta ed apprezzata in Gallura. Fu consigliere comunale dal 1897 e sindaco di Aggius dal 1899 al 1911. Era ancora in carica quando finì tragicamente i suoi giorni, ucciso da un sicario il 9 luglio 1911, nei pressi del paese di Aggius. Tale efferato delitto non causò tuttavia una nuova faida. Sulle sue cause furono fatte diverse ipotesi; qualcuno pensò ai vecchi rancori con i Vasa, mai pienamente assopiti; altri lo collegarono all’omicidio del professor Pier Felice Stangoni avvenuto presso Codarruina, il giorno di ferragosto del 1904. Si fece addirittura il nome di un famoso sicario di Rudalza (Olbia), tale Barore Nannia, che era stato visto in paese in quei giorni. Le indagini avviate dopo l’omicidio non giunsero ad alcuna conclusione; non si scoprì mai nè il mandante nè l’esecutore.
Mariangela Mamia, ormai avvilita e stanca per le tante vicissitudini della sua vita morì nella sua casa di Aggius, sedici mesi dopo la dipartita dell’unico figlio, il 18 novembre 1912
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