I Luoghi


I LUOGHI

In linea di massima i principali avvenimenti si svolsero in quella fascia subcostiera del Golfo dell’Asinara che partendo dalla foce del Coghinas arriva sino al Rio di Vignola.
Ancora oggi è una zona scarsamente popolata, nonostante il notevole sviluppo di strutture abitative, destinate però ad uso turistico.
All’epoca dei fatti relativi alla faida, esisteva una miriade di stazzi abitati, sperduti nelle impervie e selvagge campagne. La zona viveva in quel periodo il suo boom demografico, conseguenza diretta del fatto che sempre più famiglie si stabilivano definitivamente in quelle contrade.
Per secoli tutto il territorio era stata una distesa abbandonata dove regnava l’incuria e la malaria. Da documenti dell’epoca medievale, si ha notizia di diversi centri abitati esistenti nella regione durante le prime fasi del periodo post Giudicale. Il documento più conosciuto è l’Atto di Infeudazione concesso dal Re Alfonso V, il Magnanimo, a Rambaldo di Corbaria nel 1421; in esso sono riportati i nomi di una serie di villae facenti parte del vasto possedimento. Tra queste, facevano sicuramente parte della zona in questione, se non altro per l’assonanza con toponimi tuttora in uso: Agusthu, Monte Carello e Vinyolas.
Nello stesso documento si riporta che molti di questi villaggi erano ormai disabitati da almeno cinquanta anni, a causa di continue pestilenze e carestie; fra questi, anche quelli succitati.
In seguito sempre per gli stessi motivi anche altri villaggi, in pratica tutta la vasta regione, si spopolarono completamente. Conclusasi l’epoca Giudicale, con l’avvento degli Aragonesi, la situazione non era migliorata, in quanto nel frattempo le coste erano diventate insicure per le continue incursioni di pirati barbareschi. Costoro sbarcavano all’improvviso, nelle giornate di nebbia; protetti dalla foschia arrivavano non visti in quei lidi, razziavano bestiame e altri prodotti dell’agricoltura, soprattutto cereali, catturando, spesso, anche qualche ignaro pastore solitario, che conducevano via come schiavo. Ancora oggi sono ben vivi, nella tradizione orale, racconti e leggende su questi tragici avvenimenti.
Tutto questo portò allo spopolamento totale delle zone più vicine al mare. Fino alla metà del Seicento, in tutta la Gallura gli unici villaggi esistenti erano situati all’interno, addossati alle pendici del Limbara; solo uno, Terranova Pausania (Olbia) era sulla costa.
A partire dalla fine del XVII secolo, si assistette al progressivo ripopolamento del territorio, ad opera di abitanti della vicina Corsica, trasferitisi in Sardegna per diversi motivi, non tutti di tipo economico. In seguito, essendo le coste diventate più sicure, per la minor pressione esercitata dai pirati, anche a causa di una migliore organizzazione difensiva, si ebbe un incremento di tale fenomeno di colonizzazione.
Nella regione in questione il ripopolamento fu originato da pastori provenienti dai paesi più vicini della Gallura interna come Aggius, Bortigiadas e Tempio; in misura minore da altri centri galluresi e dell’Anglona.
Nelle prime fasi del fenomeno si trattava di migrazioni temporanee di pastori che, dai villaggi, nelle loro transumanze, si spingevano fino alle zone disabitate, nel tardo autunno per poi rientrare al villaggio d’origine, all’inizio dell’estate, quando era terminata l’annata agricola.
Durante questo periodo, all’inizio, soggiornavano in strutture di fortuna utilizzando come abitazione qualche nuraghe o, più spesso le spelonche scavate nella roccia dagli agenti atmosferici. In seguito furono costruiti i “cuponi”, capanne circolari di pietre a secco con il tetto ricoperto di frascame, in pratica gli antenati della casa dello stazzo.
La prima fase della colonizzazione, caratterizzata dalla presenza di insediamenti temporanei, presentava quindi, in prevalenza, un’economia di tipo pastorale allo stato brado. In seguito, con il formarsi dei primi insediamenti fissi, si intrapresero anche attività agricole e di allevamento più intensivo.
Da sempre, e fino agli anni Quaranta del secolo scorso, una delle attività predilette era il contrabbando con la vicina Corsica. Già dal Settecento si praticava con estremo profitto: si esportavano derrate alimentari, per la maggior parte di provenienza furtiva, e si vendevano nei mercati di Bonifacio, Ajaccio, Sartena e Porto Vecchio. Si importavano invece preferibilmente armi, polvere da sparo, tabacco che venivano poi rivenduti nei mercati di Tempio e dintorni.
Un ulteriore traffico era costituito dallo scambio reciproco di latitanti, ricercati per vari motivi e che cambiando isola, avevano la certezza dell’impunità, e soprattutto, nella nuova residenza, si industriavano per trovare inedite forme di guadagno illecito.
Non di rado i trafficanti ingaggiavano combattimenti con le navi regie, addette al controllo delle Bocche. Il personale delle torri costiere di Isola Rossa, Vignola e Longonsardo, che doveva vigilare per impedire il trasbordo clandestino, spesso era in combutta con i contrabbandieri.
Questa era la situazione delle regioni sub costiere nei primi anni del secolo XIX, con un numero sempre più alto di colonizzatori che si riversavano, in maniera stabile, nelle vaste lande abbandonate ed incolte.
Nel secondo quarto dell’Ottocento si ha un consolidamento del fenomeno, anche come conseguenza dell’Editto delle Chiudende, che però porterà, come si è detto, ad una serie di conflitti, culminati nelle faide della seconda metà del secolo. Da rilevare che nel periodo in questione si assistette alla nascita di numerosi aggregati rurali di una certa rilevanza demografica, che in molti casi andarono poi a costituire tutta una serie di nuovi villaggi. Normalmente, da polo d’attrazione funzionarono le chiese campestri che, da semplice centro d’aggregazione temporaneo, nei giorni della festa del santo, con il tempo portarono alla formazione di unità abitative fisse e di conseguenza alla formazione di nuovi paesi.
Il fenomeno raggiunge la sua massima espansione, negli anni a cavallo fra le due guerre mondiali. Dopo il 1950, si assiste al fenomeno di migrazione dalle campagne verso i nuovi centri abitati; il cosiddetto boom economico e l’avvento del turismo, con l’affermarsi di nuovi sistemi economici e nuovi modelli di vita, portano in pratica alla fine della civiltà dello stazzo.
Negli anni della faida il fenomeno migratorio era in una fase molto avanzata; esistevano già tutta una serie di infrastrutture abitative, occupate per tutto l’anno dai loro proprietari che, oltre l’allevamento, praticavano anche la coltivazione dei terreni, da dove traevano il necessario sostentamento per loro e per i propri congiunti, che risiedevano con il capofamiglia, a differenza di quanto avveniva nel resto della Sardegna.
Con la trasformazione da pastori, quasi nomadi, ad agricoltori stanziali si hanno i primi conflitti; d’altra parte il dualismo pastore-contadino in Sardegna è stato sempre motivo di attrito che spesso andava a sfociare nella vendetta personale.
Ed è in quest’ambiente che si sviluppano i primi focolai di quello che diventerà il “devorante incendio” che brucerà tutto senza risparmiare nessuno, nemmeno donne e ragazzi adolescenti.

LE SINGOLE LOCALITÀ
Le principali località teatro degli avvenimenti di quegli anni, non tutte citate dal Costa:

  • La Gjunchizza (Trinità d’Agultu e Vignola – OT)
    Nei pressi della chiesa campestre di Santa Maria di Vignola. Nella vasta tenuta della famiglia Mamia, vi era la casa dello stazzo dove avvenne la cerimonia dell’abbrazzu, descritta dal Costa. Oggi la proprietà si trova inglobata nella tenuta dell’azienda vinicola Monte Spada. La casa dei Mamia è stata demolita alcuni anni fa.
  • Lu Naragheddu (Trinità d’Agultu e Vignola - OT)
    Località situata un paio di chilometri ad ovest dell’attuale abitato di Trinità d’Agultu, in direzione Badesi. Era lo stazzo dove risiedevano i Vasa e i Pileri. Attualmente, alcuni ruderi di edifici stanno a dimostrare l’antica consistenza demografica del sito. Nel punto dove sorgeva la casa di Pietro Vasa vi sono oggi alcuni alberi di mandorlo.
  • Li Colti (Trinità d’Agultu e Vignola – OT)
    A breve distanza dal’abitato di Trinità d’Agultu, in una vallata caratterizzata dalla presenza della chiesa campestre di Sant’Antonio da Padova. Era la residenza dei Mamia “Verri” e dei Tanxu.
  • L’Avru (Viddalba – SS)
    A valle della chiesa campestre di San Gavino di Petra Maina. Era la residenza della famiglia Pes, parenti di Pietro Vasa che ospitarono sia lui che il cugino Sebastiano Tanxu, durante la loro vita alla macchia successiva all’uccisione di Michele Mamia.
  • Trinità d’Agultu (Trinità d’Agultu e Vignola – OT)
    Attualmente vi risiedono stabilmente circa 1500 abitanti; all’epoca dei fatti vi avevano domicilio solo il prete e la famiglia di un artigiano che svolgeva anche le funzioni di “eremittanu”.
    Secondo taluni storici, il paese sorgerebbe nel luogo dove nel Medio Evo vi era un villaggio chiamato Aghustu (o Laghustu, secondo altre fonti). A parte l’assonanza del nome medievale con quello odierno, tale ipotesi non è stata però suffragata dal rinvenimento di reperti attestanti l’esistenza di un villaggio, anche se nei dintorni dell’attuale centro abitato c’è qualche affioramento, però difficilmente databile, in quanto non è stato oggetto di studio accurato. Oltretutto vi sono anche i ruderi di due chiesette, dal culto tipicamente bizantino, Santa Barbara e Sant’Orsola, alla periferia del paese, non distanti fra di loro, che farebbero pensare all’esistenza di un centro abitato.
    La chiesa della SS. Trinità, che dà il nome al paese, secondo la tradizione orale, invece risalirebbe al Settecento, quando un fuorilegge che contrabbandava con la Corsica, prelevò una statua della Trinità, da una chiesa fatiscente, nel sud della Corsica, per trasportarla in Gallura e edificare un santuario nella sua proprietà. La sua costruzione risalirebbe al 1730 circa; nella seconda metà del secolo si richiese più volte, alle competenti autorità, l’istituzione di una parrocchia, per l’assistenza spirituale ai numerosi pastori, dimoranti nella zona.
    Dopo un ampliamento e restauro, avvenuto ai primi dell’Ottocento, finalmente, nel 1813, fu istituita la parrocchia, alla cui custodia si alternavano diversi sacerdoti nominati dal rettore di Aggius dal quale dipendevano. Costoro soggiornavano, in una casupola adiacente la chiesa, solo nel periodo da novembre a giugno, quando più massiccia era la presenza di pastori nelle zone limitrofe. Dalla seconda metà del secolo, quando già la faida tra Vasa e Mamia era nella fase conclusiva, il sacerdote di turno fu obbligato a risiedere tutto l’anno nella parrocchia campestre.
    La chiesa, con il passare degli anni, diventò il punto di riferimento per tutti i pastori degli stazzi esistenti nella zona che comprendeva tutta la regione di Badesi, incluse le frazioni di Lu Muntiggjoni, La Tozza e L’Azzagulta, praticamente fino al fiume Coghinas, oltre a quelle di La Paduledda, Cascabraga, Li Colti, Li Lizzi Longhi, Lu Rotu, Lu Capruleddu, Nigolaeddu e Tarra Padedda. La sua centralità religiosa è dimostrata anche dal fatto, che ancora sino a pochi anni fa, il paese, localmente, era chiamato “La ‘Jesgia”.
  • La Paduledda (Trinità d’Agultu e Vignola – OT) Attualmente è una tranquilla borgata in forte espansione urbanistica, data la sua vicinanza con la costa. Pur non essendo praticamente menzionata dal Costa, la località è da considerare il vero epicentro delle inimicizie. Nei suoi dintorni, fino a qualche anno fa, era facile rintracciare, scolpite nella viva roccia, le numerose croci attestanti i luoghi dove furono assassinati molti individui delle due fazioni.
  • Aggius (Aggius – OT).
    All’epoca dei fatti, tutti i territori succitati ricadevano sotto la giurisdizione amministrativa del Comune di Aggius. Il paese ne fu toccato solo marginalmente, in quanto le vicende narrate nel libro si svolsero nell’ambito del suo vasto territorio. Da un rapido esame sui luoghi di residenza, degli uccisi in quegli anni, si scopre che solo due abitavano ad Aggius: Antonio Mamia e il figlio Michele, che peraltro erano originari di Vignola. Eppure il paese era stato classificato come “il più feroce tra i villaggi sardi”.
    Tra le altre vittime, un paio erano residenti nelle campagne di Viddalba, uno a Vignola e tutti gli altri nella zona di Agultu.


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