ANFITEATRO ROMANO- Viale Fra Ignazio - Cagliari
APERTURA: |
tutti i giorni eccetto il lunedì |
PREZZO: |
3 €, ridotto 2 €, gruppi 1,5 € |
INFORMAZIONI: |
070 652956 |
DESCRIZIONE
Le prime notizie sull'anfiteatro romano di Cagliari risalgono al XVI secolo, ma risultano troppo incerte e generiche fino a quando il re di Spagna Filippo II insignì del titolo di "Palabanda e Colosseo" (Palabandae et Colisaei) il medico cagliaritano Juan Thomas Porcell, che aveva debellato l'epidemia di peste scoppiata a Saragozza nel 1564. Dionisio Bonfant, nel 1635, fu il primo ad accennare ai "vastros de edificios y gradas" (ruderi di edifici e di gradini) di questo Coliseo, e con lui tutti i successivi scrittori seicenteschi di parte cagliaritana non mancarono di farne menzione nelle loro opere. In particolare il p. Salvador Vidal, che nel 1645 conosceva il monumento anche con il nome sardo di Centu Scalas (cento scale), forse perché l'unico tratto delle gradinate allora visibile, quello orientale, doveva apparire alla fantasia popolare come una gigantesca scalinata di collegamento tra la valle di Palabanda e il colle di Buon Cammino. Il lungo abbandono dell'anfiteatro durò ancora per tutto il Settecento e i primi decenni del secolo successivo, fino a che Vittorio Angius, nel 1836, non ne fornì una prima descrizione complessiva e il Valéry, quasi contemporaneamente, si fece affascinare dall'imponenza romantica dei suoi ruderi. Tre anni più tardi Alberto Della Marmora, nel secondo volume del suo celebre Voyage en Sardaigne ne pubblicò per la prima volta pianta, sezioni e una veduta parziale delle gradinate. All'epoca l'arena risultava completamente interrata, e così i corridoi dei livelli inferiori, la cui misteriosa inaccessibilità dovette favorire la diffusione delle più strane leggende. A queste e al contributo del Della Marmora stesso si ispirarono prontamente gli autori delle famigerate Carte d'Arborea, i quali, tra il 1845 e il 1865, produssero e misero in commercio una fitta serie di falsi documenti antichi dai quali non solo si venne informati sui vari spettacoli che un tempo sarebbero stati allestiti nell'anfiteatro, ma addirittura sui particolari di una tenera storia d'amore del III secolo d.C., nata sulle sue gradinate tra il bosano Marcobus e una giovane di nome Corilla (personaggi mai esistiti). Anche sulla scia di simili suggestioni, tuttavia, il Comune di Cagliari acquisì l'area dell'anfiteatro affidandone gli scavi al canonico Giovanni Spano, che nel biennio 1866-1867 li diresse con l'assistenza dell'archeologo Vincenzo Crespi e dell'architetto Gaetano Cima. A un nuovo improvviso abbandono, già deplorato dallo stesso Vincenzo Crespi in una sua monografia del 1888, seguì una decisa ripresa di interesse in età fascista, quando l'anfiteatro fu scelto come sede di vari raduni voluti dal regime. Negli anni Trenta il Soprintendente Doro Levi ne effettuò quindi un radicale restauro, comprensivo di vari interventi integrativi tanto estesi quanto, ormai, non sempre agevolmente riconoscibili. Dopo alcuni saggi di scavo archeologico e la sistemazione di passerelle in cemento armato e parapetti in ferro, nei primi anni Ottanta, in previsione del grande Giubileo del 2000 il Comune di Cagliari ha infine curato la realizzazione delle gradinate lignee tuttora in opera, che hanno reso l'anfiteatro stabilmente agibile per vari generi di spettacoli durante la stagione estiva.
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