turri panorama
Foto Pagina Facebook Comune di Turri

Il Comune di Turri è un piccolo  paese della Marmilla, sito ad un'altitudine  di circa 150 m.s.l.m, conta 429 abitanti ed  ha  un territorio  che si estende per 9,64 kmq

Prefisso: 0783
Cap: 09020
Abitanti: 429
Altitudine: 150 m slm

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Turri si trova al centro della Marmilla, terra cerealicola classica, in provincia del Medio Campidano. La popolazione si dedica da sempre all’agricoltura ed alla pastorizia, con produzione di cereali, legumi, ortaggi, vino, olio, mandorle, formaggio, ed il famoso, rinomato “zafferano di Turri”. Nel campo dell’allevamento del bestiame ricordiamo agnelli e maialetti. È presente anche un gran numero di artigiani, che crea opere in legno e pietra, coltelli, cestini e ricami. Assai belle e varie le visioni, panoramiche sui contrafforti della Giara di Gesturi.

Il nucleo anticos i è formato, con una strutturazione urbana poligonale, attorno al polo costituito dalla confluenza delle strade di collegamento coi centri vicini e della parrocchiale. Le ultime espansioni si rivolgono verso sud-est lungo la strada per Ussarmanna. Come negli altri centri agropastorali della Marmilla, sono essenzialmente due le tipologie del sistema abitativo; la prima con l’edificio interno, a uno o due piani con spazi e costruzioni adibiti a magazzini e stalle; la seconda con l’abitazione sulla strada e portale passante, strutturata sempre su uno o due piani. I piani terra sono sempre costruiti in pietra, marne e calcari, mentre il piano superiore, quando è presente, è sovente in ladiri.

Meritano un approfondimento le conoscenze sul recupero dei fossili, di cui sono ritrovabili esempi riferiti al Miocene, di arenarie, argille e marne. Il piccolo centro, probabilmente, ebbe origine nel Medioevo e fece parte del giudicato di Arborea. Successivamente fu del marchesato di Quirra indi, per via ereditaria passò alla casa Osorio de la Cueva Castelvì dalla quale fu riscattata nel 1839. A sud-est dell’abitato s’intravedono sulla sommità di un’altura perfettamente conica i ruderi del castello giudicale di Marmilla o Las Plassas. Archeologia Si riscontra, finora, l’assenza di testimonianze prenuragiche ad eccezione delle piccole “stazioni” di ossidiana di Turriga e Mitza sa lida. Tra i numerosi avanzi dell’età nuragica si ricordano i nuraghi monotorri di Bruncu Monti Ari, Guramu, Saduru, Su Senzu e Sioru, Turriga, Sirissi, i due nuraghi complessi di Cabonu. Scarse le testimonianze del periodo romano: si segnalano gli insediamenti di Cabonu, Sioru e Sirissi, intorno al nuraghe omonimo. In questa località si possono osservare avanzi di costruzioni rurali ed abbondante ceramica. Festa della mietitura Durante la mietitura is Messadoris, i mietitori, per proteggersi dalle aride spighe e dalle reste del grano, indossano sul davanti su pann’ ‘i ananti, una specie di grembiulone, ed intorno agli avambracci is manaxibis, manopole tipiche, entrambi di robusta tela. In testa sotto il berretto, si legano su muncadori, un grande fazzoletto di tela bianca, per proteggersi dai moscerini e da altri insetti. Si inizia a mietere alle prime luce dell’alba. Ognuno ha davanti a sé il suo fronte, sa tenta, e miete con la falce, che è sottilmente dentata. Le spigolatrici, is ispigadeixis, vestono gonne lunghe e larghe, agli avambracci indossano is manaxibis, e sul davanti si legano alla cintola sa sacchitta, una capiente e robusta sacca di tela, che riempiono di spighe prive di culmo, le altre spighe vengono invece raccolte a grossi mazzi. A metà mattina si sospende il lavoro. È l’ora de su murzu, ricca colazione contadina a base di formaggio, olive, cipolle, civraxiu, vino ed acqua. La festa, oltre alla mietitura e alla trebbiatura meccanica e con buoi, prevede “Sa Maccarronada” (maccheronata) in piazza, spettacoli musicali e folk.

Le feste e sagre tradizionali sono: il 20 gennaio S. Sebastiano, il 15 maggio San Isidoro con processione tradizionale, ultimo sabato e domenica di giugno Festa della Mietitura e della Trebbiatura del grano, il 22 luglio Santa Maria Maddalena, la prima domenica di settembre la Sagra del Melone e la seconda domenica di novembre la Sagra dello Zafferano.

Lo zafferano La coltivazione dello zafferano in Italia era maggiormente praticata, nelle regioni centrali. Le regioni in cui ancora si coltiva sono la Sardegna, l’Abruzzo e le Marche. In Europa primeggiano Spagna e Grecia. In Sardegna se ne coltivano 35 ettari di cui 32 in provincia di Cagliari. In Sardegna sarebbero stati i fenici ad introdurre la coltivazione. Capo Teulada (località della costa meridionale dell’isola) risalente a quell’epoca, significa Capo Zafferano. I Romani, gli Arabi e certamente gli Spagnoli ne diffusero la coltivazione e gli usi soprattutto nelle regioni centrali e meridionali dell’isola. Denominaizoni dialettali: zaffaranu, zafferanu, zafferau, taffaranu: derivano dall’arabo Za’ feran. Indica il colore giallo della droga. Caratteri botanici È dal Crocus sativus che si ottiene la droga: lo zafferano. È pianta erbacea perenne. Il bulbo si rinnova ogni anno dalla gemma apicale o da altre gemme della parte basale del fusto. La foglia è lineare con apice appuntito e margine intero. Il numero delle foglie sottolinea le dimensioni del bulbo: poche foglie (due), bulbo piccolo; molte foglie (8-10), bulbo più grosso. Le foglie raggiungono nel mese di aprile il loro massimo allungamento, fino a 60 cm, poi ingiallite, vengono sfalciate e usate come foraggio. La pianta si difende dalla stagione calda entrando in riposo vegetativo. La fioritura si verifica tra la fine di ottobre e novembre. Il colore è violaceo con striature più scure. Alla base il colore va sfumandosi dal viola tenue, al giallo-arancio fino al bianco. Emana un odore intenso. Il numero degli stimmi varia da 1 a 3 fino a 5 e più in casi meno frequenti. Gli stimmi allo stato fresco sono poco aromatici insapori, tingono di giallo la saliva. Dissecati formano la droga dal caratteristico aroma. Lo zafferano non ha una riproduzione sessuata: non produce semi. La pianta si riproduce per via vegetativa mediante lo sviluppo di un limitato numero di bulbilli intorno al vecchio bulbo, che man mano regredisce fino a ridursi un cerino appiattito.

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