Prefisso: 070
Cap: 09026
Abitanti: 7.881
Altitudine: 41 m slm
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La struttura urbanistica del paese non ha particolari connotazioni e l’attuale perimetro ricalca a grandi linee quello degli antichi abitati del luogo fin dal XVIII secolo a.C. Recenti scavi dentro il perimetro urbano hanno infatti portato alla luce testimonianza di almeno sei livelli differenti di ricostruzione del centro abitato.
Il clima caldo umido e temperato anche durante l’inverno e un suolo ricco di humus ha permesso agli abitanti di coltivare tutte le campagne che circondano il paese. San Sperate è quindi immerso nel verde di frutteti e di altre coltivazioni a campo aperto.
Il nome Santo Sperato appare per la prima volta nei documenti ufficiali nell’anno 1441. È certo però che in epoca romana San Sperate abbia avuto un ruolo di rilevante importanza. Recenti scavi hanno portato alla luce testimonianze inequivocabili di insediamenti umani fin dal XVIII secolo a.C. la felice posizione geografica del centro giustifica la presenza degli antichi insediamenti dei primi abitanti di San Sperate. Il sottosuolo del paese è ricchissimo di resti di antiche civiltà che testimoniano che in ogni epoca della storia della Sardegna il territorio di San Sperate fu sempre abitato e coltivato. La vita era già intensa fin dall’età del bronzo, ne è prova l’abbondanza di oggetti votivi ritrovati segno di una marcata religiosità che distingue i popoli culturalmente progrediti. Siamo in pieno periodo nuragico e San Sperate è un fiorente centro che vive di agricoltura e di caccia il cui nucleo abitato, individuabile nel lato ovest dell’attuale paese, era stato protetto da mura. Dentro il perimetro era stato eretto un nuraghe che fungeva da posto di vedetta e allo stesso tempo da rifugio fortificato. All’interno del fortilizio erano stati scavati numerosi pozzi per l’approvvigionamento idrico e per consentire lo svolgersi di alcune importanti attività artigianali come la lavorazione della ceramica e la forgia dei metalli. Nel IV e III sec. a.C. la Sardegna sotto la dominazione punica e anche i villaggi della conca di San Sperate sono soggetti immancabilmente al dominio dei cartaginesi. Verosimilmente San Sperate subì le conseguenze della dominazione punica perché i cartaginesi proibirono la coltivazione di alberi da frutta per proteggere i propri interessi economici. Ma è altrettanto vero che gli antichi abitanti di S. Sperate sotto l’influenza di Cartagine poterono arricchire la lingua parlata nonché il lessico, e che nel centro esistevano almeno cinque forni da vasaio. tutti i segni di una vitalità mai sopita, di una grande forza di adattamento anche sotto una dominazione. Tra il III e il V sec. a.C. Roma impone la sua dominazione ai sardi senza peraltro riuscire mai a conquistare interamente l’isola. Gli insediamenti intorno a San Sperate aumentano, segno di un netto miglioramento nell’uso e nel controllo del territorio. In epoca romana il nome del centro era con grande sicurezza Valeria, importante centro sulla via principale che all’interno conduceva a Cagliari. Poiché in prossimità dell’abitato erano strati costruiti due ponti, uno su Flumineddu e uno sul Riu Mannu, è probabile che proprio in questo luogo confluissero le più importanti arterie che portavano a Caralis dal territorio dell’attuale provincia di Oristano, dalla Marmilla e dalla Trexenta, con inevitabili ripercussioni sulla vita economico-sociale del centro. La dominazione vandalica fu molto importante per il consolidamento del cristianesimo nell’isola. Il re vandalico Trasamondo nel 507/8 fece deportare in Sardegna centinaia di vescovi i quali oltre che diffondere la religione cristiana fondarono numerosissime comunità monacali che diedero un grande contributo sul piano economico, sociale e politico. Nel 507 vengono trasferite a Cagliari le spoglie di Sant’Agostino e nello stesso periodo vengono trasferite nel retroterra cagliaritano le spoglie di importanti santi nordafricani tra i quali S. Sperate. In questo periodo S. Sperate era ancora un centro importante forse quanto una città, se fu scelto come luogo per ospitare le spoglie dei martiri fra i più antichi di tutta la cristianità e tra i più venerati. È proprio la limitata diffusione del culto di S. Sperate fuori dai confini dell’Africa e all’interno della stessa isola a far pensare che l’abitato che prese il nome del santo africano fosse tra quelli scelti per la residenza dei vescovi d’oltre mare. Lo stesso abitato dovette andare in crisi con l’avvento dei bizantini i quali forse impedirono che si diffondesse anche in altri centri della Sardegna il culto di S. Sperate. Tra il 600 e il 1200 l’antico probabile nome di Valeria venne cambiato in S. Sperate perché era uso titolare l’abitato col nome del Santo della chiesa più importante. Nel periodo dominato da Bisanzio a partire dal 583 e fino al periodo dell’occupazione pisana del XIII sec. l’importanza di S. Sperate va progressivamente regredendo. S. Sperate è lontano dagli splendori dell’età romana e del periodo vandalico. Con l’occupazione aragonese la Sardegna assume una struttura feudale. A partire dal 1421 viene istituito il feudo di S. Sperate concesso dal re Alfonso V a Giordano de Tolo. Tale feudo persistette fino al 1833. Per 400 anni le esose tassazioni del fisco spagnolo contribuirono in maniera determinante allo spopolamento delle campagne dopo le pestilenze e le scorrerie dei barbareschi del XV-XVI secolo. Il problema più grande di S. Sperate restava sempre la costante minaccia del fiume che rendeva inagibili le campagne per molti mesi dell’anno. Le lungaggini burocratiche ritardavano un concreto intervento di risanamento. La costruzione degli argini venne progettata nel 1880 ma i lavori ebbero inizio soltanto nel 03/1893 dopo che nell 10/1892 S. Sperate fu devastata dallo straripamento del Riu Mannu. Settanta furono i morti. Il paese venne ricostruito grazie alla grande volontà e ai sacrifici della povera gente. A partire dagli anni cinquanta l’agricoltura fu progressivamente razionalizzata grazie all’impianto di nuove qualità di pesche e di agrumi che hanno decretato definitivamente la fama al paese di S. Sperate. Origini e sviluppi del muralismo Era il 1968, Pinuccio Sciola rientrava da Parigi, dopo circa un anno in Spagna. La protesta giovanile del ’68 si respirava un po’ ovunque.
La rivoluzione che in Europa si faceva con i pugni chiusi a S. Sperate si fece con il pennello in mano. Pinuccio Sciola, con l’appoggio dei suoi amici di sempre, iniziò a dare la calce sui muri delle strade, quel bianco accecante in piena estate diede nuova luce alla quotidianità di un paese vissuto dal duro lavoro nei campi, così ricco di una cultura millenaria eppure all’ombra della storia come gran parte dei piccoli paesi isolani. La volontà di comunicare nuovi messaggi attraverso l’immagine era fortissima e quei muri bianchi rappresentavano uno spazio invitante. L’iniziale diffidenza si trasformò in un entusiasmo crescente nel tempo. Il recupero e la trasformazione dei muri di fango portava con sé l’evoluzione di un intero paese. In breve tempo S. Sperate divenne centro di interesse per tanti personaggi del mondo dello spettacolo, dell’arte e della cultura italiana e straniera. La formula inventata da Sciola con il pieno appoggio di interlocutori dotti e popolari, rappresentò con molta semplicità un piano di valorizzazione economica e culturale. S. Sperate è diventato un simbolo funzionale di una dirompente evoluzione, culturale e politica, inizialmente entro la realtà civile del paese, ma di lì a poco la pratica muralistica si estese in altri paesi della Sardegna. L’idea iniziale di “Paese Museo” venne accolta con entusiasmo da Foiso Fois e Liliana Canu, da Giorgio Princivalle e Gaetano Brundu, da Nando Pintus, Giovanni Thermes e Franco Putzolu. Successivamente arrivarono gli artisti stranieri per lavorare sui muri. La singolare esperienza di San Sperate in poco tempo si fece sentire anche oltremare, nel 1976 l’intero paese venne invitato a partecipare alla Biennale di Venezia nell’ambito della sezione “Ambiente come sociale”. Sciola con le sue sculture ma anche il gruppo di teatro dialettale “La Maschera”, il gruppo teatrale gestuale di Franco Gaviano ed altri gruppi culturali sardi, giornalisti, intellettuali e lavoratori, si trovarono a Venezia a testimoniare la loro identità culturale. L’attività muralistica fu solo l’aspetto più evidente di un movimento che coinvolgeva i vari aspetti della cultura per questo non mancarono importanti personaggi del teatro. Per quanto riguarda la pittura, da sottolineare gli ultimi interventi dei giovani artisti di Sassari e Cagliari e le grandi opere a Trompe d’oleil di Angelo Pilloni. Questo è la storia del muralismo, oggi la contestazione e le provocazioni politiche degli anni Settanta non hanno più ragione di esserci. Il muralismo a S. Sperato è nato con l'obiettivo di portare l’arte a contatto con la gente, il coinvolgimento dell’intera comunità era essenziale per far prendere coscienza di un patrimonio culturale, sociale e architettonico unico. Con gli anni di esperienza abbiamo conquistato una nuova visione dell’arte, che non conosce confini, abbiamo iniziato a considerare la Sardegna non isolata, ma in una posizione favorevole per un incontro con gli altri e con l’altro.
Da vedere:
Murales, chiesa parrocchiale San Sperate