usini

Prefisso: 079
Cap: 07049
Abitanti: 4.302
Altitudine: 200 m slm

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Ridente paesino di poco più di 4000 abitanti, ai confini tra il Logudoro e la Nurra, adagiato su verdi pendii collinosi quasi interamente coltivati ad oliveti, vigneti e carciofaie. Le brevi distanze che lo separano, appena 7 km da Sassari, meno di 30 da Alghero e altrettanti dalla riviera di Platamona, Sorso e Porto Torres, offrono potenziali opportunità turistiche.

La fertilità dei suoi campi ha favorito fin dall’epoca nuragica insediamenti in diverse zone del territorio. Cenni tuttora visibili sono le numerose presenze di “Domus de Janas” di pregevole struttura architettonica. Di epoca relativamente più recente sono le tracce della dominazione Romanico-Pisana della quale rimangono imponenti testimonianze la chiesa di San Giorgio e quella di Santa Croce.

L’agricoltura è sempre stata la maggiore risorse dell’economia usinense. In particolare, la coltura vitivinicola ha dato lustro al paese che già dal 1929 alla Fiera Nazionale Agricola Alimentare di Firenze, conseguì il primo premio “Medaglia d’Oro” per il vermentino dal gusto deciso e generoso. Oggi lo stesso vino ha già varcato le frontiere del mercato intercontinentale e viene, infatti, apprezzato persino negli Stati Uniti. La tendenza a riscoprire vecchie tradizioni e genuinità del passato, ha spinto alcuni artigiani a riproporre sul mercato l’ottimo pane casereccio, rigorosamente cotto nel forno a legna che profuma di essenze mediterranee, i gustosissimi dolci tipici quali “Sos Germinos”, “Sos Biscottos Tostos”, “Sa Trobeas”, nonché la tipica pasta fresca di esclusiva preparazione usinese “Sos Andarinos”. La disponibilità, la cortesia e l’ospitalità degli usinesi costituiscono un allettante invito a riscoprire valori, cultura e tradizioni.

Cenni storici. Nelle Condaghe di San Pietro di Silki, Usini (Usune) è citato più volte, come lo è uno dei protagonisti della vita della Sardegna giudicale, quella famiglia degli Athen (e varianti) il cui ultimo discendente, “su duttore Attene”, morì in Usini verso la fine degli anni ’20. Oltre al nome del villaggio, il Condaghe di San Pietro di Silki fa riferimento con una certa frequenza, per ragioni di donazioni o di compravendita, alla toponomastica del territorio usinese, come pure a taluni abitanti del villaggio, i cui cognomi sono rimasti invariati (fenomeno comune all’isola intera) per almeno un millennio.

In età giudicale, dunque, Usini, è un villaggio sicuramente coincidente con l’attuale “bighinadu” denominato Usineddu per distinguerlo dal più grande villaggio formatosi in epoca successiva, e più propriamente a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, in età riformista quando cominciano a formarsi i primi quartieri di Sa Maja, Chirigu Murru e Chessa ‘e Canes, con al centro Casteddu, cioè la piazza Castello. Quando la dialettica città-campagna comincia ad affermarsi alla fine dell’età giudicale, dopo la conquista aragonese e la definitiva affermazione di Sassari come capitale del Capo di Sopra, è probabile che anche la vita di villaggio di Usini abbia sperimentato qualche cambiamento.

Intanto lo spopolamento del territorio, con la scomparsa di piccoli nuclei abitati e soprattutto la scomparsa, insieme al villaggio, non del monastero, ma del potere dell’abbazia di San Pietro, deve aver favorito la crescita del villaggio superstite. Che gli usinesi abbiano partecipato all’assalto a Sassari nel 1795, insieme agli altri “villani” del Lugudoro-Meilogu, è cosa nota. Come pure che abbiano fornito un modesto contingente a quel confuso e tumultuoso, ma ben poco efficiente corpo di spedizione che seguì l’Angioy fino al ponte di Tramazza, ove si sciolse nel giugno del 1796. Sullo scorcio del secolo conobbe sanguinosi episodi di conflittualità interni che ebbero nel bandito Francesco “Cicciu” Derosas, la loro espressione fisica e emblematica.

Pur così vicino a Sassari, non ne è mai diventato una dipendenza. Neanche oggi in regime, per così dire, di “quartiere dormitorio”. Ha snervato con fierezza la sua specificità, la sua autonomia di villaggio-mondo, cui si accompagna una sensibile tendenza al recupero, attraverso la riflessione, l’indagine sul territorio, la ricostruzione del costume e la rivalutazione della tradizione, delle “pratiche” e dei “saperi” locali, della identità fortemente compromessa da un precipitato processo di acculturazione e di omologazione, provocato da profondi mutamenti sociali e da una pressione costante e incontrastante dei media. Archeologia I primi insediamenti umani nel territorio di Usini, si fanno risalire al neolitico recente (età della pietra levigata), e precisamente collocabili in uno spazio cronologico denominato cultura di San Michele di Ozieri (3800-29000 a.C.). Sono infatti reperibili a questa fase dell’età prenuragica, i più caratteristici monumenti prodotti dalle genti di questa cultura: ci riferiamo alle tombe o ipogei funerari che comunemente vengono detti “domus de janas”. Questi ipogei si ritrovano numerosi lungo i costoni calcarei delle ampie vallate che guardano al Rio Mannu ed al Rio Mascari. Dal censimento operato nel 1986 dal “Gruppo Culturale Usinese”, risultano in numero non inferiore a 50. Le “domus de janas” vanno strutturalmente a seconda della natura del terreno nel quale sono ricavate, e dipendono dalle diverse esigenze funerarie e dalle caratteristiche architettoniche. Il migliore degli esempi è offerto dall’ipogei n. 5 di “S’Elighe Entosu”, dove, accanto alla riproduzione del focolare rituale, troviamo scolpiti sulla volta, il trave centrale di colmo e i travetti laterali del tetto a doppio spiovente. È questa la copia scolpita sulla roccia, del tetto della capanna prenuragica dei vivi. Le culture successive a quella di San Michele di Ozieri, non sono nel territorio usinese così ben documentate come la precedente, ma hanno lasciato anch’esse tracce inequivocabili: culture enolitiche di Filigosa (2900-2700 a.C.) e Abealzu (2850-2630 a.C.), di Monte Claro (2900-2550 a.C.) e la manifestazione culturale del Vaso Campaniforme (2630-2000 a.C.). Di queste culture si custodiscono alcuni reperti nelle sale del Museo Sanna di Sassari. Si giunge infine all’età nuragica nella quale le premesse sono poste dalla cultura di Bonnanaro (2000-1600 a.C.). Appartengono a questa fase le cosiddette domus de janas con prospetto architettonico, che hanno la particolarità di presentare sulla facciata,a una stele trapezoidale, ricavata sulla roccia al di sopra del portellone d’ingresso.

Nel nostro territorio sono pochi ma significativi i Nuraghi. Quello di Monte Unturzu, per esempio, è del tipo monotorre ed è riferibile al 1500-1200 a.C.. L’altro chiamato “Nuraghe ‘e Filighe”, è un monumento più complesso del tipo ad addizione tangenziale, ed è quindi riferibile alla fase successiva (1200-900 a.C.). Una serie di ritrovamenti di ceramiche e bronzetti nuragici in aree apparentemente non associate a strutture, permette, nonostante la scarsità di nuraghi, di attestare comunque, per il territorio di Usini, la floridissima plurisecolare civiltà nuragica.

L’abbigliamento popolare di Usini, come risulta dai documenti pervenuti, si inserisce pienamente nella tipologia lugurodorese. Il vestiario tradizionale del Lugudoro, zona aperta a traffici commerciali ed alle influenze cittadine, è meno conservativo di quello del Nuorese, ma nel corso del secolo scorso non ha subito variazioni rivoluzionarie nella struttura generale e nel cromatismo, se si eccettuano la progressiva sostituzione dei tessuti locali per preziose stoffe di importazione ed una crescente tendenza all’arricchimento, soprattutto nei ricami. Nei costumi maschili sono diffusi un tipo di giubbetto con lunghe maniche strette e sagomante ed un gilet senza maniche, entrambi a doppio petto, in panno o velluto nero o rosso, e ragas d’orbace a fitte pieghe con tasche a fessura. La camicia, priva di ricami, ha spesso colletto a punte arrotondate e piegoline verticali cucite sul petto. Il vestiario femminile presenta notevoli differenze se destinato alle feste o all’uso quotidiano e si distingue soprattutto per il busto, sempre di tipo rigido e per il giubbetto, per lo più molto ridotto,corto sulle spalle e con maniche munite di bottoniera agli avambracci. Le gonne sono spesso in panno nero o rosso nel vestiario di gala e di teletta o orbacce nero, rosso fulvo o giallo per l’uso quotidiano. Il copricapo comprende una cuffia cui si sovrappone sempre un’altro elemento: un fazzoletto rettangolare, piegato a triangolo e, soprattutto per i matrimoni, un velo bianco di tulle o seta ricamata. È interessante notare come il colore e l’uso di determinati tessuti segnasse lo status della proprietaria, come ad esempio la gonna rossa e il velo di tulle, esclusivi delle “ricche” o indumenti neri, bianchi o gialli per il lutto.

Da vedere:
chiesa di San Giorgio, chiesa di Santa Croce.